Giardini pensili: cosa sono e come realizzarli

Giardini pensili: cosa sono e come realizzarli

Quando si parla di giardini pensili si pensa subito ai celeberrimi Giardini Pensili di Babilonia, una delle 7 meraviglie del mondo databile addirittura al 590 A.C, un luogo magico ricco di vegetazione, creato per mere ragioni di carattere estetico

Nel corso dei secoli, i giardini pensili hanno continuato a esistere e a evolversi, con molteplici esempi risalenti al periodo Etrusco e all’Impero Romano in Italia, realizzati principalmente in luoghi di sepoltura (tombe, mausolei), per poi assumere una connotazione pratica e non più estetica durante il Medioevo, divenendo parte degli strumenti di difesa contro gli aggressori. Nel Rinascimento, però, si ritorna ai fasti di un tempo, con la realizzazione di giardini pensili di straordinaria bellezza a scopo scenografico.  

In seguito alla seconda rivoluzione industriale diventano un elemento di contrasto agli effetti dell’industrializzazione, con finalità che oggi potremmo definire ecologiste, per poi assumere un ruolo urbanistico nel corso del Novecento, con l’obiettivo di riconnettere l’uomo “metropolitano” alla natura e al verde

Definizione di giardino pensile

Prima di addentrarci sulle differenti tipologie di giardini pensili realizzabili, è utile partire dalla definizione di “verde pensile”

Riportiamo di seguito la definizione fornita da ISPRA, secondo la quale si parla di verde pensile:

“qualora si voglia realizzare un impianto vegetale su uno strato di supporto strutturale impermeabile, come ad esempio solette di calcestruzzo, solai, coperture in legno, coperture metalliche e in tutti quei casi in cui non vi sia continuità ecologica tra il verde e il sottosuolo fino alla roccia madre.”

Un giardino pensile, quindi, o più genericamente il verde pensile, ha la capacità di garantire le funzioni basilari di una copertura tradizionale, alle quali vengono poi aggiunte le prestazioni tipiche di un suolo naturale ricoperto di vegetazione, in misura completa o in parte limitata, con i vantaggi che ne derivano in termini estetici, termici e ambientali.

Giardini pensili e tetti verdi

Spesso si fa confusione tra giardini pensili e tetti verdi, considerandoli equivalenti, ma non è esattamente così. 

I tetti verdi hanno uno scopo pratico prima che estetico, principalmente quello di isolare termicamente un edificio, consentire la coltivazione di un orto urbano e garantire una serie di benefici per chi vive o lavora in quell’edificio. 

Per approfondire, invitiamo a leggere l’articolo Cosa sono i tetti verdi (green roof)

I giardini pensili, invece, nascono e si sviluppano nel corso dei millenni – esclusa la parentesi medievale – per ragioni estetiche, con l’obiettivo dichiarato di rendere un edificio un elemento scenografico unico e magnifico, anche se si sono evoluti fino a svolgere funzioni di ordine pratico e concreto.

Per questo motivo, oggi, la separazione netta tra tetti verdi e giardini pensili è molto più sfumata, quasi svanita del tutto. 

Citando nuovamente l’ISPRA, 

“il verde verticale potrebbe essere considerato un ramo del verde pensile.”

Possiamo immaginare un giardino pensile contemporaneo come una parete verde verticale – come quella del Bosco Verticale di Milano – caratterizzata da uno sviluppo longitudinale, a coprire parzialmente o interamente le pareti perimetrali dell’edificio, ma anche come un tetto verde, su un piano orizzontale o inclinato.  

I giardini pensili, oggi, puntano da un lato a impreziosire un edificio, con la messa a dimora di piante e fiori esteticamente gradevoli, e dall’altro a ridurne l’impatto ambientale, purificare l’aria, assorbire inquinanti (magari scegliendo piante mangia smog) e consentire un miglior isolamento termico e acustico

Giardino pensile intensivo o estensivo

I giardini pensili si dividono in due macro categorie, quelli di tipo intensivo e quelli estensivi. 

  • giardino pensile intensivo: è uno spazio verde realizzato su una superficie di copertura di un edificio calpestabile (tetto o pareti inclinate), una riproduzione di un vero giardino, fuori suolo, ricco di vegetazione e dotato di sistemi di irrigazione e drenaggio dell’acqua. Si tratta, quindi, di uno spazio da vivere, destinato a ospitare persone e che necessita di manutenzione ordinaria e straordinaria costante e professionale;
  • giardino pensile estensivo: assimilabile ai tetti verdi, sono spazi di copertura orizzontali o inclinati dotati di vegetazione, di dimensioni ridotte e limitata capacità di carico (il terrazzo o il tetto di una casa) con una funzione più pratica, come già accennato prima. Richiede un investimento inferiore e una manutenzione meno complessa.

Quanto illustrato rappresenta una distinzione forse un po’ desueta ormai, ma che consente di chiarire in maniera alquanto efficace la differenza tra un giardino pensile più completo, dotato per esempio di alberi e arbusti, e un prato verde meno elaborato

Sarà cura del progettista fare le opportune valutazioni in merito al tipo di substrato da impiegare, al suo spessore, alle piante da mettere a dimora, ai sistemi di irrigazione e di drenaggio da predisporre e realizzare. 

Le nostre realizzazioni

Noi di HW Style siamo specializzati nella progettazione, realizzazione e manutenzione di giardini pensili e tetti verdi. Invitiamo a consultare la pagina dedicata a questo tipo di lavorazione, cliccando qui

Negli ultimi anni siamo stati impegnati nella realizzazione di giardini pensili, tra cui segnaliamo i seguenti: 

  • “Iceberg”, progettato da MCArchitects di Mario Cucinella con la consulenza paesaggistica dell’Arch. Massimo Semola: l’azienda si è occupata della realizzazione del giardino pensile nel polo chirurgico delle urgenze dell’Ospedale San Raffaele a Milano;
  • Boscareto Resort & Spa, progettato dall’Architetto Paesaggista Patrizia Pozzi, resort 5 stelle lusso aperto nel 2009 e ubicato nelle spettacolari Langhe patrimonio Unesco;
  • Headquarters di  CAP Holding a Milano. 

Di seguito alcune immagini dei giardini pensili summenzionati. 

La sicurezza delle aree gioco per bambini nei parchi pubblici

La sicurezza delle aree gioco per bambini nei parchi pubblici

Quando nei parchi pubblici viene destinata una porzione da adibire ad aree gioco per bambini – spesso carenti nelle nostre città – è essenziale prestare attenzione non solo all’aspetto estetico e ludico ma anche alla sicurezza dei più piccoli, onde evitare il rischio di incidenti, lesioni e cadute

A tale scopo, le normative vigenti a livello nazionale e internazionale prevedono il rispetto di specifici standard di sicurezza delle aree gioco per bambini nei parchi pubblici

In Italia non esiste una legislazione specifica dedicata alla progettazione e realizzazione delle aree gioco per bambini, ma questo non vuol dire che non ci siano  delle norme a cui attenersi rigorosamente

Nello specifico, nel settore parchi gioco esistono norme tecniche di riferimento che costituiscono strumento a garanzia di sicurezza, come:

  • UNI EN 1176, relativa alle attrezzature per aree da gioco;
  • UNI EN 1177, relativa ai rivestimenti di superfici di aree da gioco;
  • UNI 11123:2004, relativa alla progettazione dei parchi e aree da gioco all’aperto, sostituita dalla successiva UNI 11123:2022;

Definizione di parco giochi e aree gioco per bambini

Prima di addentrarci nelle prescrizioni contenute nelle norme di riferimento summenzionate, è opportuno fare una distinzione tra parco giochi e aree gioco per bambini

Una definizione viene fornita dal MISE all’interno di un opuscolo dal titolo “La sicurezza dei parchi gioco. Consigli pratici per l’utilizzo sicuro, la buona costruzione e l’installazione delle aree di gioco”, realizzato nell’ambito di una Campagna realizzata dal Ministero delle Attività Produttive, Direzione Generale per l’Armonizzazione del Mercato e la Tutela dei Consumatori, con la collaborazione tecnica di esperti del settore coinvolti in diversi ambiti produttivi. 

  • Parchi gioco: tutti quegli spazi attrezzati, custoditi o incustoditi, destinati all’attività ludica di bambini e ragazzi solitamente fino a 14 anni, come ad esempio:
    • il cortile dell’asilo nido, della scuola materna o elementare,
    • il piccolo campo giochi di quartiere, dell’oratorio o del condominio; 
    • le zone gioco del parco urbano ed extraurbano; 
    • le attrezzature di ristoranti, bar, villaggi turistici, club, centri commerciali e stabilimenti balneari.

Non rientrano, invece, in questa definizione: 

  • le aree sportive attrezzate anche se presenti all’interno di parchi, di edifici scolastici, per esempio campi di basket, tennis, pallavolo, calcetto;
  • i luna park, le fiere e le strutture temporanee e i parchi gioco di tipo avventuroso.

Per aree gioco per bambini si intende, invece, tutte quelle strutture fisse (scivoli, altalene, giostre, dondoli), per uso individuale o collettivo da parte di bambini, installate in aree esterne o interne, aperte al pubblico.

La norma UNI EN 1176-1:2018

La principale norma di riferimento è la UNI EN 1176-1:2018, entrata in vigore il 25 gennaio 2018 e tutt’ora in corso di validità, che 

“specifica i requisiti generali di sicurezza per attrezzature e superfici per aree da gioco pubbliche installate in modo permanente”.

La norma UNI EN 1176-1:2018 è un documento molto dettagliato, contenente i requisiti che devono possedere le attrezzature installate nelle aree gioco per bambini, come quelle presenti nei parchi pubblici delle nostre città e nei nostri comuni. 

Questo regolamento tecnico è articolato in più sezioni, ognuna dedicata a un aspetto specifico; le principali sono le seguenti: 

  • EN 1176-1:2018 – Parte 1: Requisiti generali di sicurezza e metodi di prova
  • EN 1176-2:2018 – Parte 2: Requisiti aggiuntivi specifici di sicurezza e metodi di prova per le altalene
  • EN 1176-3:2018 – Parte 3: Requisiti aggiuntivi specifici di sicurezza e metodi di prova per gli scivoli
  • EN 1176-4:2018 – Parte 4: Requisiti aggiuntivi specifici di sicurezza e metodi di prova per le funivie
  • EN 1176-5:2020 – Parte 5: Requisiti aggiuntivi specifici di sicurezza e metodi di prova per le giostre
  • EN 1176-6:2018 – Parte 6: Requisiti aggiuntivi specifici di sicurezza e metodi di prova per le attrezzature oscillanti
  • EN 1176-7:2020 – Parte 7: Guida all’installazione, ispezione, manutenzione e utilizzo
  • EN 1176-10:2008 – Parte 10: Requisiti aggiuntivi specifici di sicurezza e metodi di prova per attrezzature da gioco completamente chiuse
  • EN 1176-11:2014 – Parte 11: Requisiti aggiuntivi specifici di sicurezza e metodi di prova per reti di arrampicata tridimensionale

I vari elementi che possono comporre nelle aree gioco per bambini, quindi, dagli scivoli ai playground, dalle altalene alle reti di arrampicata, devono possedere e rispettare determinati requisiti di sicurezza, al fine di garantire l’incolumità dei più piccoli, con particolare attenzione rivolta alle lesioni, anche le più gravi. 

Elementi da valutare nella realizzazione delle aree gioco per bambini

Se, come illustrato, ogni elemento del parco giochi deve essere realizzato in conformità a requisiti molto stringenti, appare evidente che anche il modo in cui viene progettata e strutturata l’area a esso dedicata deve seguire alcune best practice specifiche

  • Spazio libero: se non diversamente specificato, lo spazio libero è da intendersi come una serie di spazi cilindrici, per la determinazione del quale si deve tenere conto dei possibili movimenti dell’utente (del bambino) e dell’attrezzatura;
  • Spazio di caduta: si intende lo spazio situato all’interno, sopra o attorno all’attrezzatura, che può essere occupato da un utente in caduta da una parte sopraelevata dell’attrezzatura;
  • Area di impatto: si intende la superficie che viene urtata dal bambino dopo la caduta, all’interno dello spazio di caduta.
  • Intrappolamenti: si intendono tutte quelle situazioni che possono causare un rischio di rimanere intrappolato con testa, collo, dita, vestiti e tutto il corpo.

La norma UNI 11123:2004 (ora 11123:2022)

Con la norma UNI  11123 “Guida alla progettazione dei parchi e delle aree da gioco all’aperto”, pubblicata nel 2005 e quindi successiva alla UNI EN 1176, il regolatore ha fornito una serie di concetti base per la progettazione e l’allestimento di parchi e aree da gioco di nuova costruzione o destinati a modifiche, miglioramenti, ricostruzioni.

Aggiornata nell’agosto del 2022, la UNI 11123:2022 sostituisce e integra la precedente, stabilendo:

“i criteri per la progettazione dei parchi e delle aree ricreative per bambini, giovani e adulti. Oltre alle aree ricreative, la norma si applica a quelle zone riconosciute e destinate alla funzione del gioco, come le aree verdi in zone abitative e le aree libere scolastiche. Sono esclusi tutti gli elementi naturali e tutte le aree naturalistiche.”

Cosa prevede questa norma, che ha come obiettivo aumentare la sicurezza delle aree destinate a parco gioco per i bambini? 

  • tutte le aree ricreative dovrebbero essere collocate in un sistema di percorsi pedonali, percorsi ciclabili e aree verdi, per evitare il rischio di incidenti da traffico veicolare per gli utilizzatori. Le strade in loro prossimità dovrebbero essere a traffico limitato e/o dotate di dispositivi per la riduzione della velocità, come semafori intelligenti, dossi, strettoie, ecc.;
  • le aree ricreative idonee per bambini in età prescolare dovrebbero essere collocate in prossimità delle abitazioni, al fine di consentire, possibilmente, il contatto audio-visivo da parte dei genitori, e non distanti più di 300 metri tramite percorsi pedonali. Tutti i lati dell’area gioco dovrebbero essere delimitati con dispositivi e barriere, onde evitare l’ingresso su aree pubbliche come strade, piste ciclabili, parcheggi o zone di transito pericolose;
  • in termini di accessibilità, i bambini dovrebbero poter accedere in modo sicuro alle aree ricreative anche se non accompagnati, senza barriere architettoniche all’ingresso. Sono da prevedere accessi transitabili da mezzi di manutenzione e di soccorso. 

La norma UNI EN 1177:2019

La norma UNI EN 1777:2019 è dedicata, infine, alla realizzazione delle superfici da installare nelle aree gioco per bambini nei parchi pubblici, specificando:

“l’apparecchiatura di prova e i metodi di prova per l’impatto per determinare l’attenuazione dell’impatto di rivestimenti di superfici mediante misurazione dell’accelerazione subita durante l’impatto.”

La norma sostituisce la precedente UNI EN 1177:2018. 

Questa norma contiene i requisiti che devono possedere le superfici delle aree da gioco, con l’obiettivo di ammortizzare l’impatto di caduta

Cosa vuol dire? Che il materiale utilizzato per il rivestimento deve avere la capacità di disperdere l’energia cinetica sprigionata dall’impatto attraverso meccanismi di deformazione.

I materiali variano in base al luogo in cui vengono installati e all’altezza di caduta prevista da ogni specifica attrezzatura presente nell’area gioco, perché l’impatto varia in base a questo parametro. 

In particolare si pone molta attenzione alle lesioni alla testa applicando il cosiddetto Head Injury Criterion (HIC) che misura la probabilità di subire un trauma cranico in seguito a un impatto. Lo stesso criterio è  utilizzato anche per valutare la sicurezza relativa a veicoli, dispositivi di protezione individuale e attrezzature sportive.

Le tipologie di pavimentazioni e superfici utilizzabili sono le seguenti: 

  • prato o terreno naturale, per campi da gioco o determinate attrezzature, dove l’altezza di caduta massima è di 1 metro;
  • ghiaia rotonda, questi ciottoli smussati, possono essere disposti intorno alle attrezzature da gioco dove l’altezza di caduta massima è di 2 metri con uno spessore di 20–25 cm, e fino a 3 metri in caso di spessore di 30–35 cm;
  • corteccia sminuzzata, destinata in genere alla pacciamatura, ha un’ottima resa estetica e può essere adattata a molteplici condizioni. L’altezza di caduta massima è di 2 metri con uno spessore di 20-80 mm e di 3 metri con spessore pari a 30-35 cm;
  • trucioli di legno, un materiale molto versatile che garantisce una funzione ammortizzante contro le cadute con una altezza di caduta massima di 2 metri, con uno strato di 20-25 cm di corteccia, e di 3 metri con uno strato di 30-35 cm;
  • sabbia di quarzo, che ammortizza bene le cadute e garantisce ottimi risultati in termini di permeabilità, messa in posa e sostenibilità.

A queste soluzioni di origine naturale si aggiungono anche altre, come i tappeti ammortizzanti o la pavimentazione elastica, sempre più diffuse negli ultimi anni, in grado di garantire un’ottima funzione ammortizzante e consente la realizzazione di una pavimentazione inclusiva, adatta a sedie a rotelle e passeggini. 

Realizzazione e manutenzione delle attrezzature per bambini

Dopo aver progettato e realizzato delle aree gioco per bambini nel pieno rispetto delle norme vigenti, è importantissimo assicurarsi che le attrezzature vengano montante in modo corretto e destinare tempo e risorse alla loro manutenzione ordinaria e straordinaria

Si fa riferimento, in particolare, ai seguenti aspetti da assicurare e verificare: 

  • altalene: 
    • ganci di attacco delle sospensioni alla struttura e al sedile non regolari; 
    • catene di sospensione con maglie troppo grandi;
    • sedili troppo rigidi;
    • altalene doppie: distanza non regolamentare tra le altalene e tra altalena e struttura fissa;
    • bulloni non protetti adeguatamente;
    • distanze di rispetto non regolamentari con altre attrezzature;
    • presenza di alberi in zona di rispetto;
    • pavimentazione non adatta;
    • altezza di seduta non rispettata;
    • fondazioni scoperte e/o inciampanti;
  • scivoli: 
    • accesso: assenza di corrimano, scalini sdrucciolevoli;
    • area di seduta: fiancate non regolari, assenza della barra di accesso allo scivolo;
    • zona di scivolamento: spazi aperti nei quali potrebbero intrappolarsi dita, mani e/o vestiti, sponde di altezza e pendenza non regolamentari;
    • area di uscita: altezza dal suolo non regolamentare e/o uscita non stondata;
    • bulloni e dadi non protetti regolarmente;
    • distanza di rispetto non regolamentare con altre attrezzature;
    • pavimentazione non adatta;
    • fondazioni scoperte e/o inciampanti;
  • giostre:
    • bulloni e dadi non protetti adeguatamente;
    • piedi di ancoraggio sporgenti dalla giostra;
    • orientamento sedili verso l’esterno o senza protezione;
    • installazione non livellata;
    • distanza di rispetto con le altre attrezzature non regolamentare.
  • giochi oscillanti: 
    • altalena basculante: assenza di maniglie, assenza di ammortizzatori, altezza dell’ammortizzatore non rispettata.
    • gioco a molla: assenza di maniglie, assenza di fermo pedale, bulloni e dadi non protetti adeguatamente, distanza di rispetto con le altre attrezzature non regolamentare, fondazioni scoperte e/o inciampanti.
  • giochi composti: 
    • torri, casette, ponti tibetani, tunnel, arrampicate, pertica del pompiere: collegamenti utilizzati, bulloni non adeguatamente coperti, assi dei ponti che presentano fessure anomale, raccordo dello scivolo con la balaustra con possibilità di intrappolamento, tunnel, funi e nodi di incrocio tra funi che non rispettano spazi e caratteristiche stabilite dalla norma tecnica di riferimento, collegamenti non saldi e non stabili tra le parti, accessi non adeguati per forma e/o dimensioni alla norma tecnica di riferimento, distanze di sicurezza di ogni parte componente non rispettate.
  • funivie: dislivelli eccessivi tra partenza e arrivo, area di caduta non protetta adeguatamente.

L’impresa incaricata della realizzazione delle aree gioco per bambini nei parchi pubblici, quindi, deve lavorare ed installare le attrezzature in conformità alle norme vigenti e verificare le stesse, anche sul lungo periodo, con interventi periodici di controllo ed eventualmente di riparazione, col supporto di figure terze.

In che cosa consiste l’economia circolare?

In che cosa consiste l’economia circolare?

“L’economia circolare è un modello di produzione e consumo che implica condivisione, prestito, riutilizzo, riparazione, ricondizionamento e riciclo dei materiali e prodotti esistenti il più a lungo possibile.”

Questa è la definizione di Economia Circolare fornita dal Parlamento Europeo, dalla quale si può evincere la natura antitetica rispetto alla cosiddetta economia lineare che ha caratterizzato, e continua a caratterizzare in buona parte ancora oggi, la produzione di beni e servizi. 

Cosa vuol dire? 

L’economia circolare prevede un passaggio dall’attuale modello economico lineare (estrarre, produrre, utilizzare e gettare) verso modelli di produzione e di consumo circolari, con conseguente estensione del ciclo di vita dei prodotti, riduzione dei rifiuti al minimo e reintroduzione dei materiali recuperati nel ciclo economico.  

L’economia circolare si pone quindi come obiettivo primario la riduzione al minimo del rifiuto prodotto, tenendo conto non solo dell’utilizzatore finale, ma di tutti gli stadi produttivi, dall’approvvigionamento delle materie prime al riciclo, passando per progettazione, produzione, rifabbricazione, distribuzione, consumo, uso, riutilizzo, riparazione e raccolta

Così facendo, si andrebbe a concretizzare un modello basato sullo schema “produrre, consumare, trattare, riutilizzare, riciclare”, chiudendo il cerchio.

economia circolare

Perché è così importante?

Finora l’economia ha funzionato con un modello basato su produzione, consumo e smaltimento, il modello lineare a cui abbiamo fatto riferimento prima, con il quale ogni prodotto è inesorabilmente destinato ad arrivare a “fine vita”. 

L’economia circolare, al contrario, propone un modello di sviluppo sostenibile, che consentirebbe all’umanità di reperire le risorse, i beni e i servizi di cui ha bisogno. 

L’umanità, infatti, si trova ad affrontare una sfida complessa al fine di favorire la transizione energetica e la riduzione delle emissioni di CO2, resa ancora più urgente dalle stime relative all’aumento della popolazione

Lo scorso 15 novembre le Nazioni Unite hanno annunciato il raggiungimento della cifra di 8 miliardi di persone presenti sul pianeta, ma si prevede una crescita esponenziale nei prossimi decenni, fino a raggiungere i 9 miliardi entro il 2050. Questo si traduce in un aumento della richiesta di materie prime e del consumo di risorse naturali, che non saremo in grado di soddisfare senza implementare nuovi schemi basati, appunto, sull’economia circolare

Come previsto dal Piano d’Azione europeo per l’economia circolare, infatti, è fondamentale dissociare la crescita economica dall’uso delle risorse e contribuire in modo significativo al raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050.

Il Piano d’azione per l’economia circolare individua i possibili risparmi di materia in sette settori:

  1. Elettronica: è uno dei flussi di rifiuti a più rapida crescita, oggi pari al 2%, ma meno del 40% viene riciclato in UE. Le iniziative per l’elettronica circolare comprendono progettazione ecocompatibile, diritto alla riparazione, sistema di resa e rivendita degli apparecchi di telefonia, ed eliminazione di materiali pericolosi;
  2. Batterie e veicoli: il piano europeo si pone l’obiettivo urgente di un miglioramento del tasso di riciclaggio, eliminazione pile non ricaricabili, ecc; 
  3. Imballaggi: in Europa hanno toccato il picco di 173 kg/abitante. Per il 2030 il ricorso agli imballaggi dovrà essere minimizzato aumentandone il riciclo e il riuso, ma soprattutto favorendo ogni azione che ne riduca la quantità prodotta;
  4. Plastica: l’UE prevede il raddoppio del consumo di plastica nei prossimi 20 anni. A fronte di questa situazione la Commissione adotterà disposizioni vincolanti per la sistematica riduzione della plastica in imballaggi e veicoli (Alleanza per la plastica circolare). Inoltre, si intende affrontare l’emergenza delle microplastiche con azioni di monitoraggio, etichettatura, standardizzazione, certificazione e sviluppando le ricerche scientifiche sugli eventuali danni. Altre azioni riguardano:
    1. la valutazione e certificazione di plastiche a base organica (ove utili); 
    2. l’uso e certificazione di plastiche biodegradabili e compostabili (e regole per il corretto smaltimento); 
    3. la messa in opera della nuova direttiva sulla plastica monouso e attrezzi da pesca soprattutto per affrontare il grave problema dell’inquinamento marino da sostanze plastiche.
  5. Tessile: il settore tessile è caratterizzato da un alto consumo di acqua, materie prime ed emissioni gas serra. Il riciclo è appena all’1%. Per questo, la Commissione proporrà:
    1. misure di progettazione eco-compatibile; 
    2. incentivi alle aziende di “tessuti sostenibili” e modelli di produzione circolare;
    3. aumentare la raccolta differenziata e il riciclaggio dei tessuti rendendo operativa la Responsabilità estesa del produttore.
  6. Edilizia: il settore è responsabile di circa il 50% delle estrazioni di materiali e del 35% dei rifiuti in ambito UE (e con emissioni di gas serra tra il 5% e il 12%, riducibili dell’80% con una maggiore efficienza del sistema). Si propone quindi una strategia per un ambiente edificato sostenibile puntando sul recupero dei materiali edili e la valutazione del ciclo di vita negli appalti pubblici;
  7. Alimentare, acqua, nutrienti: in EU si spreca il 20% dei prodotti alimentari, valore che ci si ripromette di ridurre con la strategia “dal produttore al consumatore” lungo tutta la catena alimentare. Inoltre, si prevedono misure su distribuzione del cibo, eliminazione di imballaggi e posate monouso, riutilizzo delle acque ed efficienza idrica e un piano integrato di gestione dei nutrienti (con il loro recupero).

Attori principali dell’economia circolare sono, senz’altro, le imprese, che devono sviluppare sistemi produttivi sostenibili, ma anche i consumatori/cittadini dovranno adeguarsi, cambiando i propri schemi di consumo e di utilizzo di prodotti e risorse naturali. Ovviamente, non è meno importante l’intervento degli Stati e dei vari enti pubblici, che dovranno predisporre le condizioni affinché questi nuovi pattern possano svilupparsi e prosperare

Strategia nazionale per l’economia circolare

Nel mese di giugno 2022 è stata approvata, con Decreto Ministeriale n. 259, del 24 giugno 2022, la Strategia Nazionale per l’economia circolare, un documento programmatico volto all’individuazione delle azioni, obiettivi e misure che si intendono perseguire nella definizione delle politiche istituzionali per assicurare un’effettiva transizione verso un’economia di tipo circolare

È possibile consultare il documento integrale qui

“L’economia circolare, intesa come un nuovo modello di produzione e consumo volto all’uso efficiente delle risorse e al mantenimento circolare del loro flusso nel Paese, minimizzandone gli scarti, costituisce una sfida epocale che punta all’eco-progettazione di prodotti durevoli e riparabili per prevenire la produzione di rifiuti e massimizzarne il recupero, il riutilizzo e il riciclo per la creazione di nuove catene di approvvigionamento di materie prime seconde, in sostituzione delle materie prime vergini.”

Durante il G20 dedicato interamente all’ambiente, svoltosi a Napoli e presieduto dall’Italia, si è confermato l’impegno da parte dei Paesi coinvolti a moltiplicare gli sforzi per affrontare le sfide ambientali più urgenti, come: 

In tal senso, è stata posta l’enfasi sul ruolo dell’economia circolare nel contrastare questi fenomeni

“i Ministri del G20 hanno riconosciuto che l’efficienza delle risorse e l’economia circolare possono contribuire in modo significativo a rendere i consumi e le produzioni più sostenibili, a contrastare i cambiamenti climatici, la perdita di biodiversità, il degrado del suolo e a ridurre l’inquinamento.”

Il ruolo delle città

Abbiamo visto che il settore dell’edilizia è responsabile di circa il 50% delle estrazioni di materiali e del 35% dei rifiuti in ambito UE, ecco perché un ruolo strategico nella transizione verso questo nuovo modello economico circolare è attribuito alle città, luoghi nei quali vive oltre la metà della popolazione mondiale, una cifra che dovrebbe aumentare a due terzi entro il 2050.

“[…] le città – come stima l’AIE – rappresentano quasi i due terzi della domanda globale di energia e il 70% delle emissioni di carbonio del settore energetico, un’impronta di carbonio in continua crescita, che si aggiunge alle emissioni di altri settori.”

L’Italia si è dotata per questo di una Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile (SNSvS), con la quale raggiungere gli obiettivi contenuti nella Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, e più precisamente nell’Obiettivo 11: rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili, in particolare: 

  • entro il 2030, ridurre l’impatto ambientale negativo pro-capite delle città, prestando particolare attenzione alla qualità dell’aria e alla gestione dei rifiuti urbani e di altri rifiuti;
  • entro il 2030, fornire accesso universale a spazi verdi e pubblici sicuri, inclusivi e accessibili, in particolare per donne, bambini, anziani e disabili.

In relazione alle aree urbane e ai territori, la strategia nazionale intende inoltre promuovere l’uso efficiente delle risorse in aree urbane, industriali e sul territorio e riprogettare città e territori, infrastrutture e servizi in ottica circolare, con approccio intersettoriale e sistemico.

Interventi di riforestazione

In un’ottica di economia circolare è fondamentale la salvaguardia delle risorse naturali e dalla difesa della biodiversità delle varie aree

In tal senso, la strategia nazionale e il PNRR hanno posto come obiettivo la messa a dimora di 1.650.000 alberi entro il 31 dicembre 2022, che dovranno diventare 6,6 milioni entro il 2024, ma anche il rafforzamento delle attività di forestazione urbana, per 

“migliorare la qualità della vita e il benessere dei cittadini di tutti i comuni metropolitani attraverso interventi di rimboschimento che contrastino i problemi legati all’inquinamento atmosferico, all’impatto dei cambiamenti climatici e alla perdita di biodiversità.”

In tal senso, assumono una importanza rilevante anche le attività forestali urbane e periurbane nella riqualificazione di ambienti degradati e di aree dismesse.

L’economia circolare in Italia 

Lo scorso 13 dicembre il Politecnico di Milano, attraverso l’osservatorio Energy&Strategy della School of management, ha presentato la nuova edizione del Circular Economy Report, che

“analizza alcuni dei principali trend che stanno caratterizzando il passaggio dal paradigma lineare ad uno circolare come nuovo modello di crescita rigenerativa per il mondo delle imprese, di esaminare le evoluzioni di carattere normativo a livello europeo, nazionale e regionale nel loro complesso, e di investigare i driver e le barriere all’adozione delle pratiche circolari in alcuni macro-settori industriali particolarmente interessanti dal punto di vista dell’Economia Circolare.”

L’obiettivo del report è provare a rispondere a tre quesiti: 

  1. Quale è lo stato dell’Economia Circolare in Italia? 
  2. Quale è il suo reale potenziale? 
  3. Quale è il progresso che abbiamo sperimentato nel corso dell’ultimo anno?

Secondo il rapporto, nel 2022 il 57% delle aziende ha adottato almeno una pratica di economia circolare, in netto aumento rispetto al 44% del 2021.

economia circolare
  • è scesa sotto il 30% la quota degli “scettici”, ossia delle imprese che non hanno adottato e non intendono adottare nemmeno nel futuro pratiche di Economia Circolare;
  • è cresciuto il numero di imprese che ha investito significativamente, rispetto alla propria taglia, in Economia Circolare e che in oltre il 50% dei casi stima tempi di rientro inferiori o pari a 2 anni;
  • sono oltre 14 miliardi di € i risparmi economici (connessi a risparmi di risorse) che già oggi possiamo misurare annualmente nei settori oggetto di indagine per effetto dell’adozione di pratiche di Economia Circolare;
  • l’implementazione di pratiche manageriali per l’Economia Circolare potrebbe generare un risparmio economico complessivamente pari a 103,1 miliardi di euro annui entro il 2030;
  • l’adozione di pratiche manageriali per l’Economia Circolare potrebbe portare ad una riduzione di emissioni annua al 2030 pari a quasi 1,9 MtCO2.

Oltre ai benefici per l’ambiente, l’adozione dell’economia circolare nelle imprese produce anche vantaggi diretti, come evidenziato da questi grafici. 

economia circolare
economia circolare
In cosa consiste il greenwashing

In cosa consiste il greenwashing

La sostenibilità è un tema sempre più centrale, non solo nel dibattito pubblico ma anche nelle politiche industriali e commerciali. Sempre più aziende, infatti, stanno abbracciando pratiche più eco-sostenibili, riducendo il loro impatto ambientale su tutta la filiera, ma esistono anche moltissime altre realtà che sfruttano questa leva per proporre prodotti o servizi solo all’apparenza eco-friendly, attraverso una pratica scorretta denominata greenwashing

Purtroppo, questa dinamica si sta diffondendo, creando anche molta confusione nel consumatore finale, che non riesce più ad orientarsi o, ancora peggio, a fidarsi di ciò che viene proposto dal mercato. 

Cos’è il greenwashing

Una definizione di greenwashing molto puntuale è quella fornita dal portale Investopedia, specializzato in finanza e marketing: 

“Il greenwashing è il processo per trasmettere una falsa impressione o informazioni fuorvianti su come i prodotti di un’azienda siano rispettosi dell’ambiente. Il greenwashing consiste nel fare un’affermazione infondata per indurre i consumatori a credere che i prodotti di un’azienda siano rispettosi dell’ambiente o abbiano un impatto ambientale positivo maggiore di quello che effettivamente hanno.”

Si tratta, nei fatti, di una pratica scorretta, che alcune aziende attuano per attrarre i consumatori, proponendo loro un prodotto o un servizio presentandolo come rispettoso dell’ambiente, spesso utilizzando espressioni, termini o diciture fuorvianti

Secondo i dati forniti dalla Commissione Europea, il 42% delle dichiarazioni e certificazioni “verdi” possono essere esagerate, false o ingannevoli, creando una frattura con i consumatori, che non riescono più a sapere di quali brand fidarsi. 

La semplificazione della complessità

Il fenomeno del greenwashing coinvolge vari attori, tre in particolare:  

  1. le istituzioni, che sono deputate al controllo delle certificazioni e di quello che dichiarano le aziende sui propri prodotti; 
  2. le aziende, che sfruttano leve di marketing per intercettare un reale interesse da parte dei consumatori;
  3. i consumatori, che dimostrano sempre più una sensibilità nei confronti dei temi ambientali e vorrebbero tradurre le proprie posizioni ideologiche in azioni concrete e pratiche, a partire proprio dagli acquisti. 

Con il termine greenwashing si comprende sia il comportamento fraudolento da parte delle aziende, che millantano ad esempio certificazioni ufficiali che non possiedono, sia le bugie, le false verità e le esagerazioni

Tramite l’utilizzo di termini come “ecologico”, “eco-friendly”, “naturale”, “minor produzione di CO2”, ma anche di packaging e simboli che evocano il mondo green, riescono a inserirsi in un filone di prodotti realmente eco-sostenibili, confondendo i consumatori, che non hanno spesso le competenze tecniche per distinguerli

Semplificando la complessità, attraverso proprio l’uso di espressioni banali e dinamiche tipiche dei prodotti green, si ingannano i consumatori e si causano danni enormi al processo, necessario e urgente, di ridurre l’impatto ambientale e contrastare il cambiamento climatico

Chi danneggia il greenwashing?

Questo fenomeno finisce col danneggiare un po’ tutti, in particolare le aziende virtuose, i consumatori e il pianeta. 

  1. le aziende, perché quelle che desiderano realmente proteggere l’ambiente possono essere fuorviate, ad esempio affidandosi a imprese che propongono uno smaltimento dei rifiuti “eco-friendly’ quando non lo è, oppure acquistando prodotti tecnologici che promettono un risparmio energetico con potenziale riduzione dei costi in bolletta quando non è così. Ma non solo, perché si trovano a competere con prodotti che millantano determinate caratteristiche che in realtà non possiedono, venduti a prezzi inferiori;
  2. i consumatori, perché i prodotti e i servizi più ecologici spesso hanno un prezzo più alto. Un consumatore potrebbe quindi spendere di più convinto di aver acquistato un prodotto capace di soddisfare la sua etica, la sua salute (in particolare per i prodotti alimentari o per l’igiene personale) o determinanti standard ambientali, quando in realtà non lo fa. Come già spiegato, possono essere fuorviati da immagini vaghe, dichiarazioni confuse, slogan o inesattezze fattuali;
  3. il pianeta, perché imballaggi, materie prime, tecniche di estrazione, processi di lavorazione, se non eseguiti secondo standard eco-sostenibili possono provocare gravi danni all’ambiente.

Insomma, è una pratica che va contrastata con decisione

Come contrastare il greenwashing

I consumatori, e in misura minore le imprese virtuose, sono come spesso accade, l’anello debole della catena, che subisce le azioni fraudolente, o nelle migliori delle ipotesi furbesche, delle aziende; ma c’è un modo per difendersi, attraverso la conoscenza e la corretta informazione. 

Ecco 5 consigli pratici proposti dalla Commissione Europea: 

  1. prestare attenzione alla mancanza di chiarezza, a termini vaghi e incommensurabili come “naturale” ed “eco-compatibile” che non sono supportati da prove trasparenti e scientifiche;
  2. controllare l’etichetta e cercare la presenza di realtà terze che eseguono il lavoro verifica della veridicità di quanto affermato sulla confezione;
  3. essere diligente, mettendo da parte il pregiudizio e cercando di informarsi attraverso fonti affidabili; 
  4. cercare azioni, non parole, osservando ciò che fa un’azienda, non solo ciò che dice nelle pubblicità o sulle confezioni dei prodotti.  I prodotti o le aziende veramente verdi supportano le loro affermazioni con fatti concreti, dimostrabili;
  5. acquistare locale: più corta è la catena di approvvigionamento, minore è la probabilità che le dichiarazioni ecologiche vadano perse, confuse o travisate.  

Anche la presenza di certificazioni riconosciute a livello internazionale, con requisiti di ammissibilità molto rigorosi, possono rappresentare un valido alleato nel contrasto a questo fenomeno e nella garanzia di acquisto di un prodotto veramente eco-friendly

Un esempio è il Regolamento EMAS, un Sistema comunitario di ecogestione e audit (EMAS = Eco-Management and Audit Scheme) al quale possono aderire volontariamente le imprese e le organizzazioni, sia pubbliche che private, aventi sede nel territorio della Comunità Europea o al di fuori di esso, che desiderano impegnarsi nel valutare e migliorare la propria efficienza ambientale.

EMAS è principalmente destinato a migliorare l’ambiente e a fornire alle organizzazioni, alle autorità di controllo e ai cittadini (al pubblico in senso lato) uno strumento attraverso il quale è possibile avere informazioni sulle prestazioni ambientali delle organizzazioni.

HW Style ha conseguito questa certificazione nel 2021.

Wood wide web: l’internet delle piante

Wood wide web: l’internet delle piante

Il mondo vegetale è affascinante e misterioso, e ancora oggi gli scienziati non sono in grado di spiegare tutti i processi che lo coinvolgono e che in esso prendono vita. Uno degli aspetti forse più interessanti scoperti nel corso degli ultimi anni è il cosiddetto Wood Wide Web, altrimenti noto come “l’internet delle piante”.  

Si tratta di un processo molto complesso ed elaborato, che potremmo definire come un intricato sistema di connessioni tra alberi e piante, che comunicano e trasferiscono informazioni e nutrienti attraverso l’impianto radicale e l’azione di microrganismi come funghi e batteri (rizosfera). 

Riportiamo di seguito un video realizzato dalla BBC nel quale si illustra il Wood Wide Web

Funghi, radici, micorrize e Wood Wide Web

Come si legge in un articolo pubblicato sul New Yorker dal titolo “The Secrets of the Wood Wide Web”, per secoli i funghi sono stati ampiamente ritenuti dannosi per le piante, parassiti che causano malattie e disfunzioni. Più di recente, però, si è capito che certi tipi di funghi comuni esistono in simbiosi con le piante, provocando non infezioni ma connessioni. 

Si tratta delle micorrize, di cui abbiamo già ampiamente parlato nell’articolo dedicato alla rizosfera e che invitiamo a leggere cliccando qui

Questi funghi producono dei tubi fungini finissimi chiamati ife, simili a delle radici molto sottili o a una ragnatela, che si infiltrano nel terreno e si intrecciano nelle punte delle radici delle piante a livello cellulare

Combinandosi, le radici delle piante e questi funghi danno vita alla micorriza, mettendo in collegamento le singole piante le une alle altre attraverso una rete sotterranea nota, appunto, come Wood Wide Web, un termine colloquiale con il quale si fa riferimento alla rete micorrizica.

La scoperta di questa rete di comunicazione si deve a Suzanne Simard del Mother Tree Project, che l’ha illustrata per la prima volta nella tesi del suo dottorato di ricerca del 1997 e in un articolo pubblicato su Nature nell’agosto dello stesso anno, dal titolo Net transfer of carbon between ectomycorrhizal tree species in the field.

La relazione simbiotica tra piante, radici e funghi

Attraverso la formazione di questa fittissima rete di ife che collegano le radici delle piante tra loro per il tramite dei funghi, si genera una relazione simbiotica

Infatti, i funghi assorbono cibo dagli alberi, in particolare lo zucchero ricco di carbonio che producono durante la fotosintesi, mentre le piante ottengono nutrienti come fosforo e azoto che i funghi hanno ricavato dal terreno, grazie all’azione di enzimi che gli alberi non possiedono.

Quindi, i funghi non minacciano la vita e la salute degli alberi, come farebbe un classico agente patogeno, ma ne favoriscono la crescita

Cosa succede nel Wood Wide Web

Abbiamo visto che radici e funghi collaborano per la creazione di una rete sotterranea che mette in collegamento le piante tra loro, anche se distanti. 

Ma qual è il ruolo di questa rete connettiva che chiamiamo Wood Wide Web? 

  • una pianta potrebbe condividere sostanze nutrienti con altre piante che ne hanno bisogno, perché magari sono in una posizione meno favorevole e non ricevono abbastanza luce o acqua;
  • se attaccata da un parassita, una pianta può inviare una sorta di alert per consentire alle altre piante circostanti di attivare dei sistemi di protezione in modo preventivo;
  • una pianta in procinto di morire potrebbe rilasciare nel terreno tutte le sostanze nutritive ancora in suo possesso a beneficio delle altre piante vicine o lontane. 

Insomma, le piante sono in grado di comunicare tra di loro e trasferire nutrienti e informazioni attraverso una rete fittissima di funghi e batteri presenti nel terreno, che si stima possa essersi sviluppata circa 500 milioni di anni fa.

Gli studi per mappare il Wood Wide Web

Secondo il concetto del Wood Wide Web le piante, i boschi, le foreste, rappresentano dei “server”, ovvero degli enormi serbatoi di dati e informazioni, che se analizzati permettono di comprendere meglio questo straordinario sistema di comunicazione vegetale

È quello che stanno facendo il professor Thomas Crowther e il suo team di scienziati del Crowther Lab dell’ETH di Zurigo, in Svizzera, e della Stanford University; utilizzato il machine learning, hanno iniziato a mappare questa complessa rete di funghi e batteri che collega gli alberi.

Utilizzando milioni di osservazioni dirette degli alberi e delle loro associazioni simbiotiche sul terreno, i ricercatori hanno potuto costruire modelli dal basso verso l’alto per visualizzare per la prima volta queste reti fungine.

Coprendo 28.000 specie di alberi che vivono in più di 70 paesi, il database realizzato ha portato alla scoperta che alcuni tipi di microrganismi vivono solo in specifiche regioni del mondo, un’informazione essenziale per ricercatori e ambientalisti per capire come ripristinare particolari bioregioni in tutto il mondo e intervenire per mitigare gli effetti del cambiamento climatico, che possono essere studiati anche a livello microscopico. 

I due diversi tipi di funghi micorrizici

Come illustrato dal team del professor Thomas Crowther, alcune specie di funghi vivono in aree specifiche e non in altre, e conoscendo questa informazione è possibile provare a ripristinare degli ecosistemi ormai stravolti dal cambiamento climatico

Esistono due gruppi principali di funghi micorrizici: 

  1. i funghi arbuscolari (AM), che penetrano nelle radici dell’ospite; 
  2. i funghi ectomicorrizici (EM), che circondano le radici dell’albero senza penetrarle.

Questi ultimi sono per lo più presenti nei sistemi temperati e boreali, aiutano a trattenere più carbonio dall’atmosfera, ma sono più vulnerabili ai cambiamenti climatici rispetto ai funghi AM, più dominanti ai tropici, che promuovono invece un rapido ciclo del carbonio.

Purtroppo, come rilevano gli studi condotti, il 60% degli alberi è collegato ai funghi EM, ma a causa dell’aumento delle temperature tenderanno a diminuire e a essere sostituiti dai funghi AM, con un conseguente aumento di carbonio rilasciato in atmosfera, accelerando il cambiamento climatico. 

La ricerca rivela quanto siano importanti le reti micorriziche per limitare il cambiamento climatico e quanto siano vulnerabili ai suoi effetti.

Grazie ai dati raccolti dal database realizzato, quindi, sarà possibile monitorare l’evoluzione della situazione e provare a intervenire per impedire la progressiva perdita di funghi EM e l’aumento di quelli AM.