Innaffiare le piante da interno è un’azione essenziale per garantirne la salute e la resistenza nel tempo, ma va eseguita in modo corretto, altrimenti si rischia di danneggiarle.
migliorare il benessere quotidiano delle persone nel daily-job;
migliorare la percezione/accoglienza degli spazi ufficio;
migliorare la resa estetica degli ambienti, rendendoli più accoglienti, vivi, colorati e profumati.
Appare quindi evidente che una pianta secca non può contribuire al raggiungimento di questi obiettivi.
Curare le piante rientra nell’ambito della manutenzione ordinaria, e conoscere come e quando innaffiarle non è così scontato, soprattutto per chi è alle prime armi e non possiede i rudimenti del mestiere.
In tal senso, esistono alcune regole di base che possono essere applicate nella maggior parte dei casi, salvo alcune eccezioni.
1. Quale acqua usare?
I sistemi di addolcimento delle acque sono sempre più diffusi sia a livello residenziale che aziendale, e consistono essenzialmente nella riduzione dei sali disciolti nell’acqua del rubinetto.
Il primo consiglio, quindi, è di non utilizzare acqua addolcita e trattata, perché quei sali minerali che noi andiamo a rimuovere sono in realtà essenziali per le piante.
Piuttosto, utilizza l’acqua dell’acquedotto che esce normalmente dai nostri rubinetti, a temperatura ambiente, ma anche in questo caso è opportuno fare una precisazione. Alcune piante soffrono la presenza eccessiva di cloro nell’acqua, come per esempio le orchidee, quindi si consiglia di lasciare il liquido raccolto in un annaffiatoio per qualche ora, in modo che si depositi sul fondo.
Una delle soluzioni ideali, in realtà, sarebbe raccogliere l’acqua piovana, per il benessere delle piante ma anche in un’ottica di corretto risparmio idrico.
2. Innaffiare la pianta solo se necessario
Uno degli errori più diffusi nel giardinaggio fai da te consiste nell’innaffiare le piante in modo eccessivo, anche quando non è necessario.
Le piante hanno bisogno di acqua per vivere, ma un suo eccesso può danneggiarle gravemente. Il metodo più semplice per capire se è giunto il momento di innaffiare la pianta è controllare il terreno. Se è secco, allora si può procedere, ma se è bagnato o anche solo umido si dovrà attendere ancora un po’.
In commercio esistono degli strumenti, dei sensori, che, se inseriti nel terreno, indicano il livello di umidità contenuta e la necessità o meno di innaffiare la pianta.
Se la pianta ha bisogno di essere innaffiata, allora ci si deve assicurare di bagnare bene il terreno, fino a quando l’acqua inizia a fuoriuscire dai fori di drenaggio del vaso all’interno di un piatto sottovaso. Dopo un paio di ore si può svuotare il piatto e lasciare che l’acqua in eccesso fuoriesca lentamente.
3. Ogni pianta ha esigenze diverse
Non tutte le piante necessitano dello stesso apporto di acqua, dipende molto dal tipo di esemplare scelto.
Per esempio, le piante grasse riescono ad assorbire l’acqua e resistere anche a lunghi periodi di siccità, mentre altre vanno innaffiate molto più frequentemente, in alcuni casi anche tutti i giorni durante i mesi più caldi.
Quindi, si consiglia di personalizzare l’intervento in base al tipo di pianta.
4. Considerare tutte le variabili
Il bisogno di acqua a cui abbiamo appena fatto riferimento non varia solo da pianta a pianta, ma anche tra due piante della stessa specie disposte in punti differenti dell’ufficio.
Quali sono le variabili da considerare?
Le principali sono l’esposizione al sole, la temperatura e il tasso di umidità negli ambienti, le dimensioni del vaso, ma anche il numero di persone che si trova nella stanza e i sistemi di aerazione.
5. Utilizzare ciottoli per pacciamatura
Per ridurre l’evaporazione dell’acqua e proteggere la pianta potresti disporre sul terreno dei ciottoli per pacciamatura, simili a sassolini.
Oltre a essere benefici per le piante, questi ciottoli hanno anche una resa estetica molto gradevole, soprattutto se si abbinano colori differenti e si utilizzano vasi decorativi.
Detto questo, i ciottoli a contatto con l’acqua sono soggetti a ossidazione, quindi è preferibile utilizzarne di colorazione variegata e non totalmente bianchi.
6. Innaffiare nebulizzando
Invece di versare l’acqua direttamente sul terreno tramite un annaffiatoio classico, si potrebbe valutare l’impiego di un nebulizzatore, un dispositivo che consente di spruzzare una sorta di pioggerellina leggera sulla pianta.
Questo consiglio si applica in particolare alle piante provenienti da regioni tropicali, abituate a un livello di umidità più elevato rispetto a quello che normalmente le nostre case possono fornire.
7. Automatizzare e ottimizzare i processi
Se in ufficio non c’è una persona che possa dedicarsi alla cura delle piante, ma non si vuole rinunciare ad abbellire gli ambienti con elementi vegetali, allora si possono adottare soluzioni più innovative ed estremamente efficaci.
In commercio sono disponibili dei kit di irrigazione automatica, alcuni più semplici, altri invece più evoluti e avanzati, dotati di rilevatori di umidità e di pompe alimentate a batteria.
Con questi strumenti ci si potrà prendere cura delle piante in ufficio senza rischiare di danneggiarle.
Conclusioni
Le indicazioni fornite in questo articolo rappresentano la base delle attività svolte dai nostri tecnici che quotidianamente si prendono cura delle piante da interno di moltissimi uffici di Milano, Roma, Genova, Torino e tante altre città italiane, anche perché non sempre in azienda c’è una persona addetta alla cura del verde interno.
Per questo motivo, noi di HW Style interveniamo per togliere l’incombenza ai nostri clienti, offrendo un servizio di manutenzione ordinaria e straordinaria eseguita direttamente dai nostri professionisti.
Il rapporto tra pianta e suolo è molto complesso e affascinante, ed è caratterizzato da un legame simbiotico. Da un lato c’è la pianta, che con la sua azione può influenzare la composizione organica del suolo, le cui caratteristiche influiscono a loro sulle attività fisiologiche della pianta e sulla disponibilità di nutrienti.
attinomiceti, un raggruppamento di batteri Gram positivi;
funghi;
protozoi;
alghe;
ammonificanti, microrganismi in grado di realizzare il processo di ammonificazione, ovvero la scissione delle proteine e degli amminoacidi liberando l’azoto in eccesso sotto forma di ammoniaca (NH3) o di ione ammonio (NH4+);
denitrificanti, batteri che vivono generalmente nel terreno acquitrinoso di stagni e paludi, in grado di trasformare i nitrati in azoto gassoso, che ritorna in atmosfera.
Tutti questi microrganismi presenti nella rizosfera, con la loro azione, sono in grado quindi di modificare e influenzare la chimica del suolo e di conseguenza lo sviluppo e l’azione della pianta che vi cresce.
Cos’è la rizosfera
Nel 1904 l’agronomo e fisiologo vegetale tedesco Lorenz Hiltner coniò per primo il termine “rizosfera” per descrivere l’interfaccia pianta-radice, mutuando la parola greca “rhiza”, che significa radice.
Si tratta, come accennato, dello strato sottile di suolo che circonda l’impianto radicale delle piante e interagisce con esso, tramite uno scambio continuo di sostanze nutritive con un numero straordinario di microrganismi. Non a caso la rizosfera è considerata uno degli ecosistemi più complessi sulla Terra.
Com’è composta la rizosfera
La rizosfera non è una regione di dimensioni o forma definibili e si divide in tre zone, come mostrato in questa grafica riportata nell’articolo “The Rhizosphere – Roots, Soil and Everything In Between” pubblicato sulla rivista Nature.
endorizosfera: comprende porzioni della corteccia e dell’endoderma in cui microbi e cationi possono occupare lo “spazio libero” tra le cellule;
rizopiano: è la zona adiacente alla radice, compresa l’epidermide della radice e la mucillagine, un materiale viscoso, insolubile e ricco di polisaccaridi, che contribuisce a proteggere l’impianto radicale durante la crescita, fornisce protezione dall’essiccazione, aiuta nell’acquisizione di nutrienti e, in particolare, lega insieme le particelle di terreno formando aggregati che migliorano la qualità del suolo aumentando l’infiltrazione e l’aerazione dell’acqua;
ectorhizosfera: è la zona più esterna.
Il rapporto tra pianta e microrganismi nel suolo
Le piante interagiscono con la rizosfera e, nello specifico, con i microrganismi che la popolano.
Possiamo immaginare una pianta come un superorganismo, che dipende in parte dal microbioma e che, in cambio, deposita il carbonio fissato tramite la fotosintesi nella rizosfera, nutrendo la comunità microbica.
Si tratta, insomma, di un circolo virtuoso, che favorisce:
un incremento della disponibilità di nutrienti;
un accrescimento dell’apparato radicale;
un aumento delle difese contro i patogeni;
una riduzione della vitalità e della presenza di patogeni;
un aumento della salute delle piante.
La rizosfera è un ambiente altamente reattivo, che favorisce quindi un aumento della disponibilità di nutrienti per le piante, ma sebbene la sua importanza per la crescita delle piante sia stata ampiamente riconosciuta, la comunità scientifica non possiede ancora alcuna conoscenza della stragrande maggioranza dei microrganismi in essa presenti.
Gli studi condotti finora, infatti, si sono per ora concentrati in particolare su micorrize e rizobatteri.
1. Micorrize
Il termine micorrize è una crasi delle parole greche mycos, che significa fungo, e rhiza, ovvero radice, e descrive una relazione simbiotica tra un fungo del suolo e la radice della pianta.
Si tratta di una relazione molto comune, addirittura risalente all’inizio dell’evoluzione delle piante; si stima, infatti, che circa l’80-90% delle piante presenta micorrize, che potremmo definire come un complesso strutturale e funzionale costituito dal micelio di un fungo vivente in simbiosi con le radici o i rizomi di diverse piante arboree o erbacee.
Sebbene esistano relazioni parassitarie e neutre, nella maggior parte dei casi il legame tra radice delle piante e funghi è vantaggiosa per entrambi. La pianta ottiene un apporto maggiore di acqua, fosforo e altri micronutrienti dal suolo, grazie anche a una amplificazione della superficie radicale di circa 600 volte, mentre i funghi in cambio ricevono sostentamento dalla pianta (principalmente carbonio).
Esistono due tipologie di micorrize:
ectomicorrize: funghi che colonizzano soltanto alcune specie di piante, formando uno strato fungino esterno alle radici della pianta, generando spore per sopravvivere e diffondersi, per poi essere trasportate dal vento, dagli animali o dall’uomo. Si trovano principalmente nelle radici delle piante legnose;
endomicorrize: a differenza delle ectomicorrize, questi funghi penetrano all’interno dei tessuti e delle cellule dell’ospite e non formano un rivestimento esterno. Dipende interamente dalla pianta per il carbonio.
2. Rizobatteri
I rizobatteri o PGPR (Plant Growth-Promoting Rhizobacteria) sono un gruppo di batteri presenti nella rizosfera, in grado di stimolare lo sviluppo della pianta.
Nel 1978 Kloepper e Schroth definirono per la prima volta i rizobatteri, presentandoli come organismi che, dopo essere stati inoculati sui semi, potrebbero colonizzare con successo le radici delle piante e migliorare positivamente la crescita delle piante.
Questi batteri rendono più disponibili una serie di nutrienti, come azoto, fosforo, potassio e ferro, essenziali per la sopravvivenza della pianta ma che, nonostante la loro biodisponibilità nel suolo, spesso sono presenti in forma non assimilabile. L’azione di questi rizobatteri, quindi, converte queste molecole nelle forme solubilifavorendone l’assorbimento da parte della pianta. Inoltre, potenziano la capacità difensiva della pianta in risposta all’attacco di organismi patogeni.
Conclusioni
La salute delle radici è fondamentale per lo sviluppo delle piante e abbiamo visto che la rizosfera svolge un ruolo importantissimo in tal senso.
Gli studiosi sono ancora lontani dalla piena comprensione di questo ecosistema così vasto e complesso, ma è alquanto chiaro che l’intervento dell’uomo sulle colture deve tenerne conto, ad esempio sviluppando fertilizzanti che non danneggino i microrganismi con i quali la pianta interagisce con benefici vicendevoli.
Il team building aziendale è un processo finalizzato a incoraggiare i membri di un gruppo a lavorare bene insieme, ad esempio facendoli partecipare ad attività o giochi, raccomandato dagli esperti di risorse umane in particolare quando si registra un calo della produttività, conflittualità tra i lavoratori, mancanza di motivazione, confusione e inefficienza.
Nella “Guide to Managing Human Resources” pubblicata sul sito della prestigiosa Berkeley University in California, si elencano i principali risultati a cui si può giungere attraverso il team building, che riportiamo di seguito:
buone comunicazioni con i partecipanti come membri del team e individui;
aumento della produttività e della creatività del reparto;
membri del team motivati a raggiungere gli obiettivi;
clima di collaborazione e problem solving collaborativo;
livelli più elevati di soddisfazione, impegno sul lavoro, fiducia e supporto;
colleghi che lavorano bene insieme;
obiettivi di lavoro chiari;
migliori politiche e procedure operative.
Uno dei trend più diffusi negli ultimi anni, in particolare nei Paesi anglosassoni, consiste nel cosiddetto “outdoor team building”, che in italiano potremmo tradurre con l’espressione “team building nella natura”.
Cos’è il team building nella natura
Come suggerisce il termine, il team building nella natura consiste nello svolgere una serie di attività all’aperto, in montagna, in un bosco, o magari in un parco urbano ampio e ben attrezzato.
Le attività di team building nella natura comprendono giochi, eventi ed esercizi per gruppi che si svolgono all’aperto, che favoriscono la costruzione di un clima di solidarietà, fiducia e comunità tra colleghi, che diventano compagni di avventura.
I vantaggi principali derivanti dalle attività di team building, comprese ovviamente quelle organizzate in ambienti naturali, sono i seguenti:
condivisione della cultura aziendale;
maggiore investimento sulle risorse umane;
promozione e rafforzamento dei legami tra i dipendenti;
incoraggiamento e miglioramento della comunicazione interna;
sviluppo di nuove abilità;
insegnamento della prevenzione e risoluzione dei conflitti interni;
coinvolgimento dei lavoratori che operano da remoto, in smart working o telelavoro;
miglioramento della produttività;
aumento della creatività;
costruzione di un sentimento di fiducia più spiccato e solido;
miglioramento del morale e del coinvolgimento del team.
Quali attività si possono svolgere?
Le attività di team building nella natura che si possono svolgere sono davvero molteplici e variano a seconda anche del luogo scelto per ospitare il gruppo.
In generale, le opzioni più diffuse sono:
caccia al tesoro;
paintball;
il nodo umano;
rafting sulle rapide;
canoa;
kayak;
escursionismo;
zip line;
mini golf;
geocaching;
sport di squadra (calcio, pallavolo, basket, ecc.);
A queste opzioni ludico-sportive si aggiungono anche i pic-nic aziendali, eventi, concerti e spettacoli di intrattenimento.
Rinvaso di piante
Un’altra attività di team building da svolgere all’aperto che apporta evidenti benefici al gruppo di lavoro è il rinvaso di piante, seguendo le stagionalità.
Lavorare a contatto con la natura, dedicandosi con cura e attenzione alle piante e all’orticoltura e al giardinaggio, favorisce non solo il rafforzamento dei legami tra i membri dell’azienda, ma anche l’aumento del benessere psico-fisico.
È ampiamente dimostrato da numerosi studi, infatti, che il giardinaggio:
allevia i sintomi da stress e ansia;
migliora l’umore;
aumenta l’autostima;
migliora la capacità di attenzione.
Organizzare una giornata dedicata al rinvaso di piante, quindi, può essere la scelta giusta per una sessione di team building.
Insomma, le possibili attività da organizzare sono davvero tantissime, a patto che si svolgano in gruppo e stimolino lo spirito di squadra, ma anche la competizione e il divertimento.
Il Natale è alle porte, e anche in azienda è importante creare un’atmosfera festosa e armoniosa, addobbando gli ambienti e realizzando un allestimento a tema raffinato e stimolante per il personale e per clienti, fornitori e stakeholder.
Il periodo natalizio è anche un’importante occasione per promuovere e valorizzare una cultura aziendale votata alla sostenibilità, optando per soluzioni differenti, come i nostri nuovi alberi di Natale in legno ecologico eco-friendly.
Da anni specializzati negli allestimenti aziendali natalizi, quest’anno noi di HW Style abbiamo deciso di offrire anche una proposta ecologica, per un natale sostenibile in azienda, senza derogare al buon gusto e alla cura del dettaglio.
Nordic Feeling, il nostro albero di Natale in legno ecologico
Oltre ai classici alberi di natale da interno e da esterno, il catalogo degli addobbi e delle soluzioni di arredo a tema natalizio – che comprendono anche un servizio di profumazione ambientale, con l’introduzione di due nuove fragranze – si arricchisce di Nordic Feeling, il nostro albero di Natale in legno ecologico.
Realizzati in legno di betulla proveniente da foreste certificate FSC, che vengono ripiantate dopo l’abbattimento, gli alberi della linea Lovi sono la risposta perfetta per realizzare un Natale sostenibile in azienda.
Interamente realizzato a mano, Nordic Feeling è caratterizzato da un design unico, di ispirazione nordica, in grado di mettere al centro il messaggio ambientalista senza rinunciare allo stile e alla bellezza.
Disponibile anche la personalizzazione in un classico verde natalizio.
Gli addobbi sostenibili
La scelta di un albero in legno ecologico 100% eco-friendly richiede anche una soluzione sostenibile per quanto concerne gli addobbi, e noi di HW Style abbiamo pensato anche a questo.
Sono disponibili anche nuove proposte di addobbi, realizzati anch’essi in fogli in legno di betulla assemblati a mano, in cinque colorazioni diverse:
color legno di betulla (su prenotazione);
rosso chiaro;
rosso scuro;
verde chiaro;
verde scuro.
Queste “palline” di Natale in legno ecologico si presentano in due dimensioni, da 6 e 8 cm di diametro.
Con l’albero Nordic Feeling e i nuovi addobbi in legno di betulla ecologico ogni azienda potrà realizzare un allestimento natalizio sostenibile, in linea con i propri valori e in grado di veicolare un messaggio di rispetto per l’ambiente.
La realizzazione di un progetto di verde verticale per interni può prevedere l’impiego di numerose specie vegetali, ma uno dei trend più apprezzati negli ultimi anni è rappresentato dalle pareti di Moss stabilizzato.
Si tratta di una parete ricoperta di un mix di muschi e licheni stabilizzati, quindi trattato per garantire colore, tenuta e resistenza per un lungo periodo di tempo, oltre al caratteristico effetto soffice al tatto come in natura.
La resa estetica è eccellente, non richiede manutenzionee apporta riconosciuti vantaggi se installata in uffici, locali commerciali, studi professionali.
Cos’è il Moss stabilizzato
Il Moss stabilizzato è una miscela di muschi e licheni, raccolti nel momento di massima maturazione, quando hanno raggiunto quindi un bel colore intenso, trattati affinché conservino le loro caratteristiche e il loro aspetto per molti anni.
Non è, quindi, un muschio sintetico, come quello impiegato per le decorazioni natalizie ad esempio, ma un mix di muschi e licheni naturali, che subiscono un processo di stabilizzazione.
Dopo la raccolta, i muschi e i licheni vengono immersi in un bagno salino, che sostituisce progressivamente la linfa e inibisce così la fotosintesi e la crescita.
La pianta, quindi, non ha più bisogno né di sole né di acqua, ma conserva forma e colore (in alcuni casi si aggiunge del colorante naturale), e può essere predisposta su appositi supporti per creare una parete verticale o elementi di arredo unici.
Si tratta di un’operazione destinata ad un impiego nell’interior design, per la realizzazione di pareti verticali verdi da installare in ambienti business o domestici.
È escluso, invece, l’utilizzo nel verde per esterni, perché il moss stabilizzato richiede una determinata percentuale di umidità (in genere compresa tra il 40% e il 60%) al di sopra della quale può danneggiarsi, e non può essere esposto a fonti di luce e calore diretta.
Quali sono i vantaggi del Moss stabilizzato
Oltre agli innegabili vantaggi estetici, derivanti dall’installazione di pareti verdi verticali o elementi decorativi ricoperti di Moss stabilizzato, questa soluzione apporta anche numerosi benefici.
I licheni stabilizzati sono antistatici, quindi non attirano la polvere, e sono antibatterici, quindi non generano cattivi odori né diventano problematici per l’igiene degli ambienti.
Inoltre, i pannelli coperti di vegetazione utilizzati dagli interior designer hanno anche una funzione fonoassorbente, riducendo l’inquinamento acustico, in particolare negli edifici situati nei centri urbani più trafficati, e favorendo la concentrazione, diminuendo le fonti di stress e migliorando la produttività negli ambienti di lavoro.
Infine, non hanno bisogno di una manutenzione o di una cura particolare, non richiedono acqua né luce, e garantiscono una durata molto lunga, che in condizioni ottimali può raggiungere addirittura i dieci anni.
Come utilizzare il Moss stabilizzato nell’interior design
L’impiego del moss stabilizzato nella realizzazione di pareti verdi verticali, pareti divisorie ed elementi d’arredo rappresenta un’ottima opportunità per impreziosire il design di un ambiente e caratterizzare in modo elegante, creativo e funzionale gli spazi interni.
Noi di HW Style proponiamo le seguenti soluzioni:
HW Divider Moss, le pareti divisorie bifacciali: realizzata in muschio e lichene stabilizzati su struttura portante in MDF, è la soluzione ideale per divisori che consentano la ripartizione degli spazi di lavoro;
HW Mixed Moss, la parete vegetale: realizzata con due diverse tipologie di muschio stabilizzato, consente suggestive personalizzazioni esplorando le tonalità del verde e di ottenere un effetto tridimensionale tipo Land-art;
HW Colored Moss, per la decorazione degli spazi interni: pannelli in lichene naturale stabilizzato con i quali realizzare loghi, forme, decori di ogni tipo e personalizzazioni;
HW Ball Moss: soluzioni in muschio stabilizzato dalla forma semisferica, ideale per giochi di colore e profondità;
HW Foliage: pannelli con verde e fogliame stabilizzati realizzati con piante rampicanti, edera ed essenze disponibili in un’ampia varietà;
HW Underwood: pannelli personalizzati rivestiti con due diverse tipologie di muschio e fogliame come felci, marante ed eucalipto stabilizzati.
Per maggiori informazioni, invitiamo a consultare la pagina dedicata al Moss stabilizzato, qui.
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